sabato 30 maggio 2020

Don't look back in anger, I heard you say

Stiamo smantellando la rianimazione covid per tornare alla normalità: abbiamo tolto tutto quello che c'era e domani verarnno a pulire , per ora rimane un enorme stanzone con i letti vuoti. Sono entrata un attimo per fare un fax, mi sono guardata intorno, nella luce del pomeriggio, e proprio come nei film ho avuto per un momento la visione del passato: tutti i letti, tutti i pazienti in ogni letto, tutte le attrezzature, gli infermieri, noi: un insopportabile quantità di gente, cose, rumore; e per un momento ho avuto una sensazione...non di nostalgia, nessuno di noi potrà mai provare nostalgia per quello che abbiamo passato, ma come di rimpianto; qualcosa che tradotto in parole suonerebbe come: vorrei poter tornare indietro per rifare tutto meglio.
Temo che dovrò imparare a conviverci...

domenica 24 maggio 2020

Autoconsulenza

Uno dei problemi del Covid è che, essendo tutto infetto, i vari specialisti delle altre specialità non possono venire a fare consulenze.
Noi rianimatori, che siamo viziatissimi, abituati a schioccare le dita ed avere tutto e subito, ci siamo  sentiti offesi e oltraggiati da questa cosa incredibile, ma alla fine ce ne siamo dovuti fare una ragione.
Io, per esempio, arrivo un giorno in ospedale e c'è un omino il cui cuore va a 140 battiti al minuto.  Chiamo il cardiologo e lui mi mette una terapia farmacologica.
Il giorno dopo il cuore dell'omino va sempre a 140 .
Richiamo il cardiologo: cambiata terapia farmacologica.
Al terzo giorno in cui trovo la stessa frequenza ri-richiamo il cardiologo : "Senti, che devo fare?"
"Va cardiovertito elettricamente "risponde lui
"Ok. puoi venire a farlo? "
"No, nessuno di noi può venire là. Almeno fino a martedì"
ci penso un attimo: "Va bene. Dimmi come si fa"
"hai presente quando defibrilli? uguale, ma con meno corrente e spingi il tasto sync".

Mi abbasso la visiera come un cavaliere medievale e seguita dalla specializzanda e da un codazzo di infermieri mi avvio alla camera del malato.
Piastre, gel, corrente. Spingo sync. Scarico.

Cuore perfetto a 70 battiti/minuto, pressione 120/70, paziente che si sveglia dalla sedazione e ci guarda sorridendo.

"Figo" mi dice la specializzanda " Lo sai che era la prima volta che facevo una cardioversione?"
"eh," rispondo con un filo d'ansia" lo sai che pure io?"

ha pensato che scherzassi

non sai quello che ti aspetta, tesoro...

domenica 17 maggio 2020

Gli specializzandi sono il sale della terra

Lo dicevo 10 anni fa, quando ero uscita dalla scuola di specializzazione da poco, e lo dico di nuovo ora che sono, me ne rendo conto stando con loro, una vecchia anestesista.
In qualche parte della mia testa ero convinta di essere sempre la stessa di 10 anni fa, che lavorava al policlinico con Enrica e Stella, ma per l'emergenza covid ci hanno mandato in aiuto un gruppo di specializzandi e lavorare con loro mi ha dato la misura di quanto sono cambiata .
Ne abbiamo di ogni regione dalla Sicilia alle Alpi in un turbillon di accenti mischiati che manco la rubrica settimanale dell'accademia della crusca.
ed è davvero una figata.

1. Lavorare con gli specializzandi è metà della fatica, ma anche il doppio.
Metà perchè sono abituati a fare tutto  da soli, per cui, lasciati a sè stessi finiscono tutto il lavoro prima che tu te ne accorga.
Il doppio perchè hanno dubbi, incertezze, domande e questioni (o se non le hanno è peggio) che propongono a te che quindi devi fare la fatica di entrare nella loro testa e seguire il paziente che hanno visto loro ,dal loro punto di vista, mentre magari te ne stavi seguendo un altro dal tuo.
Alla fine del turno c'hai una guerra in testa .
2. Sono bravissimi. Con un ecografo in mano sanno vedere qualunque cosa ovunque. Io, che mi sono specializzata agli albori dell'era ecografica anestesiologica e poi ho proseguito il percorso da autodidatta, in confronto sono una poveraccia con l'orologio dei Ringo Boys.
Conoscono tutta una serie di cose sugli antibiotici, le resistenze, le tecniche di depurazione extrarenale e qualunque altra cosa che io ho dimenticato almeno 5 anni fa.
3. Gli manca l'esperienza. Si incantano e ti chiedono aiuto su cose che tu, dopo 10 anni fai canticchiando Renato Zero; e quando ci riesci al primo colpo ti guardano mortificati : non hanno ancora capito quanto facciamo tutti la figura dell'imbecille. Sempre.
4. Gli manca la visione d'insieme : dell'insieme di disillusioni e ripetuti tentativi che fanno sì che tu già sai che quella cosa non funzionerà. E siccome loro sono degli entusiasti e si impegnano un sacco per trovare la terapia giusta per questa o quella cosa, a volte ti senti una merda a dirgli: no, non funziona, guarda. E quindi alla fine lo fai, anche se sai che non funzionerà perchè non è giusto disilluderli, devono fare i loro errori come li hai fatti tu.
5. Ti costringono a pensare. Tu stai facendo la solita cosa e uno di loro arriva fresco fresco e ti fa: perchè fai così? e tu improvvisamente ti chiedi: oddio, perchè faccio così? e ripercorri 6 anni di medicina e 4 di specializzazione e i successivi dieci rifacendo a ritroso tutto il ragionamento.
Alla fine ti ricordi del perchè lo fai e dici: ammazza, però quanto sono figa a fare sta cosa!!!

Ovviamentei 30 anni gli danno quel giusto grado di scanzonatura che ti alleggerisce la giornata.
la scorsa settimana stavo con uno  di turno e, mentre lui era fuori stanza ho aperto il tablet del reparto che usiamoper le videochiamate dei pazienti.
C'era un messaggio whatsapp ad un altro di loro: " C'è scritto su C7 (il complicatissimo programma di gestione delle cartelle cliniche) che sei frocio"
Seguiva il resto della conversazione sullo stesso tono intellettuale.
Appena è rientrato l'ho guardato: " Tesoro, ti farei notare che il nostro cambio è Maria, la responsabile della terapia intensiva (che è una Signora di quasi 70 anni). Io fossi in te, cancellerei questa conversazione whatsapp... "
mi ha sorriso per niente turbato: "lo faccio subito, me lo ero dimenticato"
E anche per oggi abbiamo salvato una vita.
Non di un paziente.

lunedì 11 maggio 2020

Interazioni umane complesse

Questo COVID, l'ho già detto, ha cambiato molte delle cose a cui ci eravamo abituati.
Abbiamo pazienti intubati in rianimazione da 47 giorni.
47 giorni.
Una cosa così l'ho vista giusto nei politraumi, nelle sepsi meningococciche...non lo so, non mi viene neanche in mente...
Abbiamo dovuto cambiare modo di lavorare, approccio ai pazienti, alla terapia, alla ventilazione, alla nutrizione; ci siamo ritrovati a fare cose che noi rianimatori non facciamo quasi mai: impostare terapie insuliniche  a boli ( nei diabetici in rianimazione l'insulina si fa in infusione continua perchè non mangiano ad orari), aggiustare terapie antipertensive per os, embricare anticoagulanti. Questo perchè i pazienti che stazionano da noi, prima di riuscire a respirare autonomamente ci mettono settimane, e per aiutarli a respirare per tutto quel tempo non basta solo il tubo in bocca, ci vuole una tracheostomia, cioè un buchino nella gola che arriva fino alla trachea e che ,attraverso un tubo corto  a forma di uncino , mette in connessione i polmoni con l'esterno, riducendo lo sforzo di respirare e dando la possibilità di pulire le vie aeree dalle secrezioni.
Una volta fatta una tracheostomia, per toglierla ci vuole tempo: per far tornare i polmoni a respirare, ,per rifare i muscoli che servono a tenerli puliti,  per far passare l'aria per un tragitto più lungo. Nel frattempo il paziente si sveglia, beve, poi comincia a mangiare, appena ha abbastanza fiato ricomincia a parlare, e alla fine si sfila la tracheo et voilà: due cerotti ed è tutto come prima. A dirlo così sembra quasi nulla, ma è un nulla che dura tantissimo e che di solito i rianimatori non vivono, perchè appena il paziente è in grado di sopravvivere lo spediscono in rianimazione e ne prendono uno nuovo che invece non si sa se sopravvieve o no.
Noi ci divertiamo così.
Tutto questo contatto umano ci sta esponendo ad una serie di interazioni col paziente a noi del tutto ignote: Venerdì sera sono uscita dalla terapia intensiva e prima ho fatto un giro letti per salutare . Il paziente del letto due mi ha risposto: "ciao cara! a lunedi!"
"ciao cara"
manco mia madre mi dice "ciao cara" quando vado via, figuriamoci i pazienti.
Ci mandano un sacco di cose: barattoli di caffè, cornetti, fiori, gigantesche uova di Pasqua...
ci troviamo a fare videochiamate con sconosciuti ed io ormai conosco praticamente tutti i principali software cellulari in commercio.
Abbiamo delle conversazioni incredibili: ieri abbiamo tolto la tracheo a Maria, una donna di 70 anni con una forza di carattere che avrebbe sconfitto la peste, altro che il covid. Maria fa la cuoca nel ristorante di famiglia. Dopo che le abbiamo tolto la tracheo , come più o meno fanno tutti, ha cominciato a parlare senza fermarsi, giusto per il gusto di farlo. Nel suo flusso di coscienza ad un certo punto mi ha detto: "io non capisco come fate. Io non potrei mai fare questo lavoro. Prima ho tossito e c'era un po' di catarro e a me ha fatto uno schifo pazzesco...ed era il mio! pensa: mi fa schifo il mio, pensa quello degli altri!"
io l'ho guardata attraverso gli occhialoni protettivi: "Maria, ti devo confessare una cosa: io non riesco a pulire il pesce, ogni volta che ci sono costretta mi fa uno schifo pazzesco, quando devo togliere le interiora, ogni volta rischio di vomitare,  e porto i guanti di gomma!"
lei mi ha guardato stupefatta: "ma è solo pesce!"
ed io: "è solo catarro!"
Ci siamo guardate dall'abissale distanza delle nostre idiosincrasie. Poi ha fatto spallucce: "ognuno si sceglie la su croce..."