sabato 7 settembre 2019

La vita in diretta

Ho saltato un paio di settimane perché avevo in mente di scrivere questo post, ma non sapevo bene come. Ci provo come mi viene.

C'è un paziente ,che chiameremo per essere originali, Mario, che ha un età compresa tra i 90 e 100 anni.
Mario ha sofferto di disturbi psichiatrici per tutta la vita e dev'essere stato un bel peso per la sua famiglia; i figli, quando è iniziato il decadimento cognitivo che lo ha reso non più autosufficiente, lo hanno messo in un istituto.
Qui, un giorno qualsiasi, Mario smette di mangiare e di bere.
Non ha niente che non va, non ha sintomi clinici né gli fa male niente, semplicemente dice che si è stufato e non vuole più mangiare né bere. Ovviamente, se hai 90 anni e pesi 50 chili fai presto a scompensarti col digiuno, infatti viene trovato semi incosciente in camera sua dopo due giorni. Viene portato in pronto soccorso e da qui ricoverato in medicina: gli mettono un ago in una grande vena del collo e iniziano a nutrirlo artificialmente. Appena si riprende e si rende conto di avere il tubicino in vena che lo nutre, Mario se lo strappa.
I medici provano a farlo mangiare, ma ogni volta che qualcuno si avvicina con un cucchiaio alla bocca lui la serra e si rifiuta di aprirla.
Gli mettono un ago più piccolo nel braccio. Se lo strappa.
Gli mettono un tubicino giù per il naso fino allo stomaco per mandare cibo e acqua con la siringa. Per metterglielo bisogna fare una guerra e appena resta solo, se lo sfila.
Gli mettono un ago più piccolo nel braccio. Se lo strappa.
Gli mettono un tubicino di plastica in una vena che va dal braccio ad un grosso vaso del torace ed è fissato con i punti. Se lo strappa.
A questo punto i medici parlano con i parenti. I parenti dicono che non vogliono che venga fatto niente, ma almeno che gli sia garantito il nutrimento. Però hanno visto la scena in cui hanno provato a mettere il sondino nasogastrico e non vogliono che debba di nuovo subire una cosa del genere. Deve essere nutrito per vena.
Mario nel frattempo non parla più ,urla e si dimena appena qualcuno si avvicina e lo tocca, si rifiuta di mangiare ,è agitatissimo e lo devono sedare.
A questo punto i colleghi della medicina chiamano me e mi chiedono di mettere un altro ago nel collo, di quelli che vanno fino ad un grosso vaso e si chiamano catetere venoso centrale.
Ascolto il caso e ne discutiamo insieme. "A che serve che ti metto un cvc? " dico " se ne è già strappati due!"
"ma adesso l'ho sedato! " risponde la collega" ora non è più cosciente!"
"scusa: ma qual'è il progetto terapeutico per questo paziente?" domando
"lui va ricoverato in una RSA (una residenza sanitaria assistita, cioè un posto in cui stanno persone non autosufficienti) , non ha nulla clinicamente, non deve stare in ospedale" mi risponde, sapendo già dove voglio andare a parare
"ok, ma che gli fanno all' rsa?" insisto
"niente, lo tengono sedato e aspettano che muoia" mi risponde allargando le braccia
"ecco. quindi io gli metto un cvc per tenerlo sedato e farlo morire in un rsa? ma allora lasciamolo in pace e facciamolo morire non sedato!"
" Io sono d'accordo con te, ma sono i figli che non vogliono!"
"ho capito, ma mi pare che lui la pensi in maniera completamente diversa. Ha espresso chiarissimamente la sua volontà di non ricevere cure mediche...che deve fare di più?"
"Ma non puoi basarti su quello che fa un paziente con un decadimento cognitivo e che per di più è stato un psichiatrico per tutta la vita, come fai a dire che ora vuole morire?" obietta un altro internista

La faccio breve: io ed i miei colleghi ci siamo rifiutati di mettere il catetere venoso centrale.
Lo abbiamo dovuto scrivere in cartella e non so se , in caso di processo, questa decisione sarebbe impugnabile da un giudice.
Chi può dire cosa è giusto e cosa è sbagliato in un caso come questo? chi si sente così sicuro di distinguere la volontà dalla malattia? Quanto è difficile la posizione di chi si trova ad avere in cura questi pazienti, dovendo tenere conto di tante cose, di tante persone, di tanti sentimenti.
I miei colleghi della medicina avevano dedicato a questo paziente tutto il tempo e l'attenzione necessaria, ma di fatto si trovavano con le spalle al muro e il mio intervento , che io continuo a ritenere giusto, alla fine ce li ha lasciati. E se è vero che la legge dice che è il medico e non i parenti a decidere per il paziente in stato di necessità, è anche vero che è difficile far morire qualcuno con i figli che ti gridano in faccia che tu lo uccidi.
è facile dare giudizi stando seduti su una poltrona o davanti ad uno schermo. Facile difendere le posizioni più estreme quando di quelle posizioni se ne deve poi fare carico qualcun altro. Tirare fuori dei titoli sensazionali per vendere qualche copia in più.
la vita vera, però, è un'altra cosa

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